giovedì 15 ottobre 2009

NAVI DEI VELENI IN CALABRIA - Storie di padri che avvelenano i figli

Assume contorni sconcertanti la vicenda che da tempo pone l’Italia e le sue mafie al centro del sistema internazionale illegale dello smaltimento di rifiuti altamente pericolosi. Si sperava fosse una leggenda ed invece no, pian piano stanno emergendo elementi sempre più concreti che evidenziano una drammatica realtà fatta di barbarie e disprezzo della vita umana, in cui i padri avvelenano i figli.


Il termine ecomafie inizia a declinarsi a voce alta in tutte le sue accezioni alimentando continue richieste di chiarezza e di intervento da parte delle istituzioni, non solo nazionali ma anche e soprattutto internazionali. Già, perché la sottovalutazione e il tentativo di provincializzazione dell’accaduto sono un rischio che la popolazione della zona particolarmente colpita dal fenomeno, la Calabria nota anche come la regione più povera d’Europa, non può assolutamente permettersi. La paura è tanta perché a rischio non è solo la fragile economia regionale, basata quasi interamente su turismo e produzioni del territorio, ma è la vita e la salute di centinaia di generazioni a venire. Questo aiuta a rompere il muro di silenzio e di omertà rendendo una leggenda forse a troppi nota una cruda realtà da affrontare a viso aperto.

Le informazioni fornite dal collaboratore di giustizia della ‘ndrangheta, una delle più potenti organizzazioni criminali al mondo, Francesco Fonti sono sconcertanti e parlano di una prassi per lo smaltimento di scorie tossiche in Italia e nello specifico nel meridione ma anche in Africa. Il metodo era agevole e consentiva altissimi profitti per le cosche calabresi disposte a far scomparire nel nulla, con la complicità anche di settori dello Stato, rifiuti scomodi che nessuno voleva e soprattutto nessuno riteneva opportuno gestire legalmente per gli elevati costi.


Parla Fonti e racconta di circa 30 navi mandate a picco sui fondali della Calabria con profitti che oscillavano per ogni “nave a perdere” dai 4 ai 30 miliardi di lire ovvero all’incirca dai 2 ai 15 milioni di euro. Lo stesso collaboratore, per sua ammissione, pare abbia partecipato all’affondamento con dinamite nel 1992 di tre navi la Cunsky, la Yvonne A e la Voriais Sporadais a largo rispettivamente di Cetraro, Maratea e Melito Porto Salvo procurando un danno ambientale inestimabile nel cuore del Mediterraneo.

Quello che più raccapriccia è però, la fitta rete di protezioni internazionali e istituzionali che le ecomafie hanno avuto ed ora sono al vaglio della magistratura. Coinvolti in questi affari sporchi c’erano non solo lo stato italiano ma anche stati stranieri, grossi gruppi industriali nazionali ed internazionali ed un ruolo determinate, nelle richieste e nei pagamenti, pare essere stato quello dei servizi segreti italiani.


Fonti descrive una procedura dettagliata in cui è direttamente il Sismi (Sistema per le informazioni e la sicurezza militare) a commissionare il lavoro, pagare il compenso ed offrire le coperture alle cosche. Intrecci per altro che non sfuggono nemmeno a Luca Barbareschi, vice presidente della commissione trasporti alla Camera dei deputati che nel corso di una recente intervista al settimanale italiano L’Espresso ha dichiarato «è evidente che a livello internazionale, i governi si sono accordati per affondare scorie radioattive. Dopodiché hanno fatto il possibile per cancellare le tracce fregandosene altamente della nostra salute». E lo stesso Barbareschi ha proseguito durante l’intervista ricordando che «si è proceduto senza scrupoli dopo accordi sottobanco con i servizi segreti».


Un quadro sconcertante che si arricchisce sempre di nuovi sviluppi. Di pochi giorni fa il ritrovamento di un relitto a largo di Cetraro, a conferma delle dichiarazioni di Fonti, che pare poter essere proprio la Cunsky e contenente fusti del genere utilizzato per le scorie tossiche, oltre a due cadaveri. Ma per gli investigatori si fa anche largo una nuova ipotesi; quando lo smaltimento per affondamento non era possibile si procedeva al sotterramento nelle campagne dei fusti incriminati. A conferma di questa teoria viene la vicenda della motonave Rosso arenatasi sulla spiaggia di Formiciche, sulla costa calabrese, nel 1990 ed il cui carico non è mai stato ritrovato anche se l’alto tasso di patologie tumorali ed una serie di analisi sugli indici di radioattività offrono la quasi certezza che i fusti tossici furono seppelliti nell’entroterra, tra i comuni di Aiello Calabro e Serra d’Aiello.


Quelle descritte sono delle dinamiche preoccupanti che come spesso accade in questa porzione d’Italia vedono sottile la linea tra Stato ed antistato, con la certezza che fino a questo momento per l’ennesima volta a vincere è la barbarie e a perdere è sempre la popolazione che chiede un intervento più concreto da parte del Governo centrale e teme fortemente il rischio ben noto dell’insabbiamento.

Così i padri avvelenano da generazioni consapevolmente i propri figli; qui in Italia, in Calabria, in quello che era il centro ora dimenticato della civiltà della Magna Graecia.


VINCENZO CAPELLUPO - ASSOCIAZIONE UNIVERSITARIA ULIXES

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