martedì 26 gennaio 2010

DOVE VANNO LE NUVOLE?

In Calabria, a pochi Km da Rosarno, c’è il mondo a colori e multiculturale di Riace


Quando arriviamo a Riace è già mattina inoltrata. Il paese nella sua parte collinare, circa seicento anime rifugiati compresi, è in fermento. Da qualche giorno sono arrivate molte altre famiglie di palestinesi e tutti stanno cercando di dare una mano. Qui l’accoglienza ha messo radici da tempo, è entrata nei cuori e nelle teste delle persone, la multiculturalità è considerata una grande risorsa.

Il sindaco Mimmo Lucano è il profeta di questo modello dell’accoglienza che dalla Calabria è studiato ed imitato in tutta Europa. Gli chiediamo, sottraendolo ad una delle tante riunioni organizzative della giornata, quale è il segreto di tanto successo. Lui ci spiega con entusiasmo, che qui a Riace si accoglie con il cuore, sì, in Svezia o in Danimarca questi rifugiati hanno un livello di welfare più elevato ma qui sviluppano un senso di comunità e di appartenenza maggiore, senza perdere e dimenticare il loro passato. È una vera integrazione, perché contano le persone e, come una grande famiglia, se arriva un nuovo componente ci si stringe e si sta tutti insieme.

Già, ci si stringe, come sta accadendo, dopo i terribili fatti di Rosarno. Il paese ha deciso di dare ospitalità a quanti sono rimasti feriti nei giorni orribili delle violenze e nel tour per le vie del borgo insieme al sindaco e al presidente dell’associazione Città Futura, ci accompagna proprio un giovane ferito a Rosarno di nome Iakuba.

Iakuba è un ragazzo della Guinea, giovanissimo, che parla solo un pò di francese e con due occhi neri spaventati, persi e perennemente impauriti, tanto da suscitare amarezza ed angoscia in chi li guarda. La sua serenità l’ha persa qualche giorno fa quando camminando lungo le strada di Rosarno è stato colpito alla schiena con una arma da fuoco usata da vigliacchi e ignoti criminali. Il segno dei pallini lo mostra. Alza la maglia e si vede la zona d’urto del colpo che si sta lentamente rimarginando. Te ne accorgi subito, la pelle guarisce in fretta, ma le ferite del cuore, ci metteranno molto di più a cicatrizzarsi e forse non lo faranno mai.

Iakuba in un timido francese ci dice che è in Calabria da due mesi, non ha familiari, è arrivato in Italia dopo una traversata in mare di due giorni dalla Libia costata 1200 dollari. Qui ha lavorato a Rosarno per 25 euro al giorno nelle campagne a raccogliere arance. La Calabria e la sua gente gli fanno paura.

Il lavoro di Lucano e del suo paese antimafia e missionario sarà di fargli acquistare fiducia in un popolo che fino ad ora ha negato con convinzione la stessa esistenza del giovane della Guinea.

Per Riace l’accoglienza è diventato anche un modo per rinascere evitando lo spopolamento dei paesi e la fuga di tanti giovani in cerca di una occupazione fuori dalla Calabria. La sensazione vera è di un mutuo soccorso tra i rifugiati e gli abitanti del paese, due sconosciuti del mondo che si incontrano e si danno una mano per modificare la realtà e la propria condizione. Accoglienza è anche questo. In giro per Riace sono spuntati come funghi laboratori, botteghe artigianali, centri di aggregazione e alfabetizzazione. I laboratori di telaio a mano, di cucito, di vetreria, di ceramica sono alcuni dei luoghi in cui le persone del posto fanno da guida ai giovani che vogliono imparare un lavoro. Rinascere dopo le sofferenze della povertà, della guerra, della schiavitù contaminandosi con un mondo che consoce con uguale drammaticità la miseria, l’emigrazione e lo sradicamento. Ci si parla, si lavora insieme e giorno dopo giorno, mese dopo mese, fianco a fianco, si formano grandi artigiani, si creano stupendi rapporti familiari ma soprattutto ci si ritrova e ci si riafferma cittadini del mondo.

Tra le vie di un paese dove i bambini corrono liberi, felici, uguali, oggi un gruppo di palestinesi sta cuocendo il pane arabo. Sembra di essere in un centro del medio oriente con la musica araba ad alto volume, lingue e dialetti che si mescolano e un profumo intenso di spezie orientali. Ci offrono prontamente il primo pane che viene cotto, noi siamo gli ultimi arrivati. È questa è la ricetta di condivisione made in Riace.

Intanto un improvvisato gruppo di traslocatori si muove tra le case dell’ospitalità diffusa, modulando e rimodulando tutto in funzione dei nuovi arrivi e delle loro esigenze. Non ci sono celle, criminalizzazioni, sbarre o controllori armati. Anche questo è un grande successo.

Qui la gente sta nelle case, gira liberamente per le strade. Non perde la propria dignità. Trova riparo dopo le paure e le speranze di un viaggio verso l’ignoto. Uno dei tanti murales del borgo antico di Riace ha una scritta: dove vanno le nuvole?

Sì, dove vanno le nuvole dei pensieri, delle vite di tanti uomini. Seguono un percorso senza limiti, senza padroni o costrizioni, cercano un luogo da eleggere, anche provvisoriamente, loro casa e comunità. Li si fermano insieme ad altre nuvole. Da anni le nuvole si fermano qui. In Calabria, a Riace.


Vincenzo Capellupo

mercoledì 13 gennaio 2010

Rosarno, le menzogne e la rabbia

Niente sconti alla mafia, ma tutta la verità su un contesto disumano


Hanno messo la polvere sotto il tappeto e la chiamano legalità. Hanno massacrato degli innocenti e la chiamano applicazione delle regole. Hanno mentito e continuano a mentire e lo chiamano intervento dello Stato di diritto. Siamo increduli dinanzi a tutto ciò che è successo e ancora succede ed ancora di più dinanzi a come tutto ciò viene dipinto, raccontato e strumentalizzato Nella complessità e nei dubbi che gravitano attorno al caso Rosarno noi due certezze le abbiamo e le vogliamo urlare: il Governo sta facendo una cosa orribile e questa società degli ingiusti sembra essere concepita per umiliare sempre i più deboli.

Il governo ordisce trame di ipocrisia. Usa la parola immigrazione come la userebbero dei bambini ma senza la stessa innocenza. Senza capire o con la volontà di non far capire, omettendo di porsi pubblicamente ulteriori problemi. La usa contro le intelligenze proprie e quelle della gente, la usa contro i diritti umani, contro l’impegno e la storia accogliente e ospitale di questa terra. Rilegando questi eventi ad una dimensione regionale e locale, così come fatto per la ‘ndrangheta deresponsabilizzando l’autorità nazionale. La sua stupidità e il suo orgoglio sanciscono e sanciranno il trionfo, già noto, delle mafie su quello che è il piccolo feudo di Rosarno. Si sta intervenendo a favore della ‘ndrangheta.

Una città commissariata, ripetiamo commissariata, non poteva non conoscere e non far conoscere al Governo che migliaia di braccianti vivevano nella indigenza e nello sfruttamento. Non poteva non sapere il ministrero degli interni attraverso i suoi organi periferici che a Rosarno gonfiava la rabbia, la rabbia vera, quella che proviene da una schiavitù rude e barbara. La rabbia che viene dalla volontà di rivendicare una esistenza da esseri umani. Ma la sottovalutazione del problema o peggio ancora la sua accettazione rendono tutto più terribile.

Adesso il Governo si finge eroe. Ha legittimato la caccia al nero, con le sue parole e ha deportato in silenzio chi ha gridato contro la mafia. E lo ha fatto più volte a testa alta. Questa è la situazione. Gli immigrati, seppure in forme condannabili, hanno denunciato la propria schiavitù. Senza essere ascoltati.

Abbiamo agito, noi come popolo e come Stato, contro la dignità umana. Ma abbiamo agito come agiamo purtroppo ogni giorno. Le bastonate, i silenzi, le spranghe, le fucilate ai neri sono come la materializzazione fisica di quella che è la quotidianità della nostra terra dove ogni giorno si consumano altre più silenziose offese e umiliazioni verso chi non si arrende al malcostume, verso chi resiste ai soprusi della malapolitica e delle organizzazioni criminali, verso chi vorrebbe urlare contro le schiavitù morali e l'indifferenza.
A noi calabresi della resistenza quotidiana spesso, proprio come ai poveri immigrati, le forze congiunte di poteri corrotti e incapaci ordinano o impongono l'esilio o la deportazione.
Siano essi giovani brillanti, siano essi immigrati sfruttati, viviamo spesso di una fine comune che si chiama esilio, espulsione. Il sangue e le lacrime di oggi hanno lo stesso profumo delle lacrime di ogni giorno di questa terra.

Ci sforzeremo di dare a questa vicenda, così complessa, così importante, il proprio nome e le proprie parole. Lo stesso nome e le stesse parole che le istituzioni, le organizzazioni criminali e media conniventi cercheranno di nascondere, di occultare e peggio di manipolare. Occorrerà trasformare la "colpa secondo Maroni" (la regola morbida sugli ingressi) nelle colpe quotidiane del nostro Paese: il sonno delle istituzioni locali e nazionali, i contributi all'agricoltura che non impongono un monitoraggio stretto dei metodi e delle regole sull'impiego bracciantile, l'assenza di ogni tipo di discussione su come migliorare la competitività dei nostri prodotti agricoli (dalla gabbie salariali ai contratti regionali per diminuire il costo della forza lavoro in regioni svantaggiate), il ruolo dell'Europa nella gestione dell'immigrazione, i limiti di un giornalismo che dovrebbe essere presente e rigoroso, che imponga alla politica di rispondere e resocontare.

Alla mafia vorremmo che non si facesse alcun regalo, a cominciare dalle parole!

ASSOCIAZIONE STUDENTI DI CALABRIA ULIXES